Perdonarsi parlandone, per necessità
A volte serve dare dignità ad un dolore inascoltato, ad una sofferenza vera da tanti volutamente ignorata per tentare di trovare un po’ di pace.
Così, “Vorrei perdonarti” è sfociato in un’ipotetica lettera con cui ho partecipato al primo concorso nazionale di Anima Rei “Caro bastardo”. Con mia grandissima sorpresa ho vinto il secondo premio. Qui la potete ascoltare interpretata da un’attrice teatrale.
Tra vecchi file in una cartella abbandonata nel pc, c’è una lettera che gli scrissi in uno dei miei numerosi patetici tentativi di risvegliargli un po’ d’amore.
Quando a fine ottobre 2022 ho visto pubblicizzato il concorso, ho pensato che dato tema e titolo fosse un richiamo per raccontare una parte della mia storia a qualcuno senza pregiudizi, predisposto a considerarla plausibile.
Ed è stato come urlare quello che non ho mai potuto urlare perché non riuscivo più a parlare e mi ero quasi rassegnata. Mi ha spinto un tormento che non si placa, un bisogno che avevo già espresso in una delle 15 pagine scritte a mano anni fa poco prima della rottura.
Scrivevo così: “Non credo che riuscirò a ricordare perfettamente ognuna della troppe occasioni in cui quell’uomo mi ha calpestata fino a ridurmi nello stato attuale: esasperata, distrutta, umiliata, morta. Proverò ugualmente a descrivere chi è, speciale con tutti, geniale ed apprezzato e un mostro con me, e lo scrivo perché nessuno mi crederebbe. Sono ormai emarginata, sola, rinchiusa in una prigione, non so più parlare, non ho più niente e non avrò niente, tutto è finito, io sono finita. Nessuno vuole anche solo prendere in considerazione che lui con me non sia l’angelo che vedono loro”.
Ero in un loculo angusto pieno di lame che mi ferivano ovunque mi girassi: lui mi aveva messo in quel buco e io non riuscivo a respirare. Se l’avessi sputtanato come spesso si fa, almeno mi sarei sfogata e avrei sgretolato le sbarre di quella prigione. Sarei rimasta comunque sola, ma con meno peso e forse qualcuno avrebbe potuto dire “ti avevo giudicata male, non sapevo”.
Questa lettera è scritta in modo quasi leggero in confronto a quanto c’è in quei fogli che evito il più possibile di leggere perché tuttora mi sento male. Avevo paura di ripercussioni allora, e ne ho ancora.
Non so nemmeno se potrei avere un po’ di pace con una risposta vera e un minimo di pentimento. Non essendo vendicativa, non saprei come potrebbe essere un’ipotetica giustizia.
Probabilmente la mia testa ha soltanto un gran desiderio di fare spazio e cancellare il ricordo di quella prigione, lavando con un getto potente di acqua fresca ciò che è inciso a fuoco.
(La lettera per il concorso è nella pagina successiva).